venerdì 31 dicembre 2010

Il mio 2010

Oggi è inevitabilmente tempo di bilanci. Mi guardo indietro e vedo in ordine sparso un po' di cose...

La prima, in realtà, non devo neanche sforzarmi troppo di cercarla perché sta proprio davanti agli occhi. E' questo blog, il cui primo post risale a gennaio di quest'anno grazie allo spunto inconsapevole di due miei cari amici appassionati di fumetti, Andrea ed Emiliano, i cui blog mi avevano incuriosito, divertito e stimolato. Quindi mi son detto: "Perché no?". E ho scoperto un nuovo mondo, prima del tutto sconosciuto, quello dei blogger appunto, grazie al quale ho imparato tante cose, ho conosciuto nuove persone ed approfondito tanti temi a me cari.


C'è stato poi in aprile un cambiamento importante per le mie abitudini e non solo. Io e mia moglie siamo diventati vegetariani. Il motivo? Non lo sappiamo con precisione ma, probabilmente, due fattori hanno giocato un ruolo importante. Il primo sono le due micie che vivono con noi dall'anno scorso, Cassie e Juno.

Cassie

Juno guardata alle spalle da Tex

Il secondo è stata la lettura di un libro, dopo il quale non sono stato più lo stesso di prima.


Un altro importante cambiamento delle mie abitudini è stato il trasloco in un appartamento più grande, con una libreria atta a contenere molti (ma non tutti, sigh) dei miei fumetti, e in un posto ancor più di confine.....sul Carso, fuori dalla città, a maggior contatto con la natura



e con un passato non così lontano...




E' stato anche un anno ricco di letture di molti fumetti. E di saluti a collane che ho amato molto: soprattutto ringrazio Gianfranco Manfredi per l'irripetibile Magico Vento


e Michele Medda per l'originale Caravan


Sergio Bonelli ci ha regalato comunque una promettente miniserie dai toni neri: Cassidy di Pasquale Ruju.



Nella mia personalissima classifica dei migliori fumetti del 2010, metto al primo posto La porta di Sion di Walter Chendi



Non ho dubbi: la delicatezza e la profondità con cui l'autore triestino affronta un tema importante come la persecuzione degli ebrei, le leggi razziali, l'antisemitismo attraverso gli occhi di un adolescente che scopre l'amore nello stesso periodo, sono unici in quanto privi di retorica. L'opera è stata fra l'altro insignita a Lucca 2010 del premio Gran Guinigi 2010 per la migliore storia lunga.

La piazza d'onore spetta a Logicomix, opera unica nel suo genere che si presta a molteplici livelli di lettura. A me è piaciuta soprattutto perché parla di passioni.



Assegno infine il terzo posto a Quaderni ucraini di Igort, un fumetto sulle rimozioni della storia, su una tragedia dimenticata: un documentario grafico di grande impatto.


Il 2010 è stato anche un anno di musica: di concerti vissuti con entusiasmo




di altri persi per il rotto della cuffia


e di altri visti comodamente sul divano


Al cinema non ci son stato molto, mi è rimasto comunque impresso Porco Rosso di Hayao Miyazaki. Lo ricorderò perché è uno straordinario inno alla libertà e per una splendida frase pronunciata da Porco:

Meglio maiale che fascista

                                         
Il calcio mi ha riservato solo note tristi. Un signore ha lasciato la mia amata Viola


mentre un altro se n'è andato per sempre


In altri campi le cose non vanno meglio: come ha detto Slavoj Zizek, il potere dello stato è esercitato direttamente da uno spregevole borghese che lo sfrutta apertamente e senza scrupoli per proteggere i suoi interessi



e i diritti del lavoro si stanno progressivamente erodendo


Nonostane tutto guardo con fiducia al 2011 e, nel frattempo, saluto il 2010 alla Ken Parker: So long


giovedì 30 dicembre 2010

Un fatto di civiltà

Dal sito internet del quotidiano La Repubblica:

"ROMA - Ugl, Fim, Uilm, Fismic e l'associazione dei quadri Fiat e il Lingotto hanno siglato il contratto per l'assunzione dei 4600 dipendenti dello stabilimento di Pomigliano d'Arco. A partire da gennaio 2011 i lavoratori saranno assunti dalla Newco sulla base dell'accordo separato siglato il 15 giugno scorso."

Ovvero nello stabilimento Fiat di Pomigliano (così come a Mirafiori se passerà il referendum tra i lavoratori) non si applicherà più il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei metalmeccanici, bensì uno su misura, ritagliato sulle esigenze Fiat.

La domanda è: perchè? La risposta è: perché il CCNL tutela troppo (secondo Fiat) i lavoratori.
In altre parole, una delle tante conquiste civili della nostra Repubblica viene buttata alle ortiche, in nome di una presunta modernità, riformismo, e altre cazzate del genere che servono solo a nascondere la triste verità: il progressivo smantellamento dei diritti dei lavoratori riguarda oggi anche i dipendenti (per lo meno i privati), dopo aver già travolto gli atipici, ovvero quelli che un contratto nazionale non ce l'hanno mai avuto.

Dispiace e ferisce constatare che il tutto stia avvenendo con l'avvallo di una parte dei sindacati.
Dispiace e ferisce constatare che il tutto stia avvenendo con il plauso di parte dell'OGM-PD.



Buon anno!

mercoledì 29 dicembre 2010

Un uomo un'avventura

"Una serie di volumi cartonati che è andata piuttosto male, pur potendo contare su nomi importanti come quelli di Pratt, Battaglia, Toppi, Crepax e Micheluzzi. Probabilmente era troppo in anticipo sui tempi! Comunque, anche se il bilancio economico era decisamente fallimentare, io decisi di mantenerla in vita per alcuni anni: ecco, questo è uno dei lussi che come Editore mi concedo ogni tanto, e che riservo ai fumetti che mi piacciono in modo particolare..."


E io, dopo 30 anni, ringrazio il lusso che si è concesso l'autore di queste parole, ovvero Sergio Bonelli, perché mi ha regalato un'avventura lunga 30 volumi che finalmente risiede su uno scaffale della mia libreria (come attesta la foto qui sopra). Dopo diverso tempo, infatti, son riuscito a completare la collezione di "Un uomo un'avventura", la prestigiosa e rivoluzionaria, per l'epoca in cui uscì, collana di albi cartonati che raccontano, ciascuno in modo autoconclusivo, le vicende di un eroe, antieroe o uomo comune inserito un ben preciso contesto storico.



Mi mancavano gli albi più preziosi (e costosi....) e difficili da trovare, tra i quali i quattro di Pratt e quello dell'amata coppia Berardi-Milazzo; ma alla fine, grazie all'opera del "segugio" signor Fontana di NonSoloLibri son riuscito a farli miei.



Tornando alle parole di Bonelli, voglio sottolineare la scelta coraggiosa di portare nelle edicole di fine anni '70 un formato di fumetto del tutto inusuale, ovvero quello cartonato grande alla francese e con carta patinata. Alla qualità della confezione corrispondeva poi la qualità degli autori e delle storie. Oltre ai già citati, aggiungo i nostrani D'Antonio, Gattia, Galeppini, Polese, Tacconi, Bonvi e gli internazionali Fernandez, Oliveira e Siò.



Ai giorni nostri alcuni direbbero che questi albi sono dei graphic novels (termine che personalmente detesto, come ho già avuto modo di scrivere), per distinuguerli dal "povero" fumetto seriale. Segnalo però una grossa differenza: oggi i cosiddetti graphic novels escono nelle librerie o nelle fumetterie, perché li si considera degni solo di un certo palcoscenico d'elite. All'epoca, il buon Sergio Bonelli li distribuì attraverso le edicole, mostrando in questo modo un grande rispetto verso il lettore di fumetti. Per lui non esisteva la differenza tra fumetto d'autore e fumetto seriale, nel senso che l'uno non era per forza di maggior valore dell'altro. E, soprattutto, nella sua testa non c'era differenza tra lettore di fumetto seriale e lettore di albo d'autore: il gusto e la potenzialità di fruizione sono gli stessi e coincidono.


L'operazione puramente di marketing che invece si svolge oggi ha la conseguenza nefasta di scavare nella cultura dei comics un solco sempre più profondo, ma in realtà privo di reale fondamento, fra il fumetto dì edicola e quello di libreria, fra fumetto popolare e quello d'elite. Sono distinzioni puramente commerciali (anche se supportate da una certa intellighenzia) il cui non-senso avrebbe bisogno di essere sempre più smascherato da nuove iniziative editoriali "democratiche", quale fu a suo tempo Un uomo un'avventura.



Ecco che la riedizione integrale a colori della saga di Ken Parker con la sua conclusione ancora inedita, di cui ho scritto qui, calzerebbe a pennello....

venerdì 24 dicembre 2010

Il ragazzo, il portiere e l'uomo con la pipa

Il mio amico Emiliano ha ricordato con un bel post una giornata particolare ed un uomo speciale che se n'è andato pochi giorni fa, Enzo Bearzot. La giornata particolare era il 5 luglio del 1982, quando la nazionale italiana di calcio battè ai mondiali di Spagna nientepopodimenoche il blasonato Brasile di Zico, Falcao, Socrates e Junior. Una giornata indimenticabile anche per un ragazzino di 11 anni, quale ero io. Ricordo il pomeriggio assolato, tutta la famiglia seduta sul divano in soggiorno incollati davanti alla tv a balzare in piedi ad ogni tiro in porta, ad ogni dribbling, ad ogni calcio d'angolo.
Per noi, che abitavamo in un piccolo paese di 1300 anime chiamato Mariano del Friuli, c'era una motivazione in più: il capitano della nazionale era il mitico Dino Zoff, nostro compaesano e della stessa generazione dei miei genitori. Lascio immaginare l'orgoglio di potersi definire suo compaesano che faceva sfoderare a tutti i ragazzi del paese un sorriso a 32 denti.... e non solo ai ragazzi....Lui conosceva tutti a Mariano e tutti lo conoscevano. La motivazione in più non era comunque solo questa: altri due friulani appartenevano a quel gruppo favoloso: Fulvio Collovati e l'allenatore, Enzo Bearzot.
Mio padre sottolineava sempre questo fatto: diceva che noi friulani, uomini di poche parole, ci facciamo valere con i fatti, badiamo al sodo senza tanti fronzoli, siamo seri e determinati, e questo vale anche nel calcio. Certo, magari era un po' una generalizzazione, comunque nel caso dell'avventura spagnola è stato propio così. Bearzot seppe far gruppo, difendendolo dalle critiche esterne, infondendo fiducia nelle capacità dei giocatori fino a farle emergere. Come? Lo ha detto oggi lo stesso Dino Zoff che ha partecipato ai funerali del suo vecchio commissario tecnico:
"Quando si hanno dei principi come li aveva lui diventa facile compattare un gruppo, lui era un esempio per tutti".
Ovvero, la coerenza fra quello che si dice e quello che che si fa: una dote sempre più rara.
Ma torniamo a quel luglio di 28 anni fa, quando io ragazzino assisto, insieme a milioni di italiani, alla finale Italia - Germania e vedo vincere la nostra squadra. Vedo Bearzot portato a spalle dai suoi giocatori festanti, vedo Dino sollevare la Coppa del Mondo. Allora accade quasi un rito spontaneo. Tutti gli abitanti di Mariano si riversano per le strade e si dirigono verso la casa dei genitori di Dino Zoff.
Mario e Anna vivono infatti sempre a Mariano, sono due contadini ormai di una certa età, accolgono un po' imbarazzati ma felici la gente che si raccoglie attorno alla loro casa. Sono rimasti le persone semplici che sono sempre stati, così come loro figlio e lo stesso Bearzot. Il successo di Dino non li ha fatti diventare superbi, non si vantano, anzi, quasi si schermiscono. Arriva anche la banda musicale del paese, direttamente in corriera dall'Austria dove era "in trasferta" a suonare. La festa è ancora più grande! E' un entusiasmo forte e sincero, ma nello stesso tempo non sguaiato. E' schietto, è la felicità di vedere un figlio del proprio paese arrivato a trionfi mondiali con la serietà del proprio lavoro, anche se si tratta di un lavoro molto particolare e ben retribuito.
I miei occhi registrano delle immagini che non dimenticherò mai, ma una surclassa tutte le altre: Mario e Anna Zoff sulla porta di casa, lui col cappello di contadino in testa, lo stesso che portava mio nonno Arturo, che sorridono, salutano e stringono le mani dei marianesi con un pudore quasi fanciullesco. Hanno la stessa faccia buona e sorridente di Enzo Bearzot e di Sandro Pertini.

martedì 21 dicembre 2010

Il futuro a colori di Ken Parker

Disegno di Ivo Milazzo tratto dalla copetina di "Avventure in acquarello", Parker Editore, 1993

"L'affetto dei lettori di Lungo Fucile è costante e apparentemente imperituro. Non passa mostra, conferenza o semplice incontro in cui qualcuno non mi chieda notizie del nostro scout. Per non parlare delle lettere. E tutti vorrebbero rivederlo in sella, ventre a terra, nelle Grandi Praterie. Me compreso, devo dire. Ken è un mio figlio, un fratello - persino un padre. E' sangue del mio sangue, e sarei felice di rimetterlo in scena. Scrivere alcune storie per terminare la saga, però, mi sembrerebbe riduttivo. Nelle mie intenzioni e in quelle di Ivo Milazzo, l'autore grafico del personaggio, si è fatto strada un progetto che prevede la revisione totale di tutte le storie, la loro colorazione e la conseguente ristampa. Insomma, un'edizione rivista e corretta a cui far seguire gli episodi rimasti in sospeso. Il problema, in questi tempi di congiuntura, è trovare un editore disposto a un investimento così cospicuo. D'altronde, negli ultimi quindici anni, Ken è diventato un character di culto, che merita rispetto e attenzioni particolari. A cominciare dai suoi autori.
So long."

Ivo Milazzo, prima e quarta di copertina de "La collera di Naika", numero 52 della prima serie

 Sono parole di Giancarlo Berardi, tratte dall'ultima rubrica Il Diario di Julia, ovvero il prezioso angolo della posta con cui si apre ogni albo mensile di Julia, l'intensa e affascinante serie mensile che narra le avventure dell'omonima criminologa, la cui umanità ricorda spesso il nostro Ken. Nell'albo 147 di dicembre, Berardi risponde alla domanda di un lettore di Julia, ma ancor prima di Ken Parker, che propone l'idea di creare una miniserie Bonelli con la conclusione della storia di Lungo Fucile: "L'impegno economico dell'editore sarebbe limitato nel tempo e comunque una serie di Ken non resterebbe a prender polvere in edicola, perché lo zoccolo duro è ancora numeroso e presente" afferma lo speranzoso lettore. E devo dire che, mentre leggevo queste parole, non potevo far altro che sottoscrivere pienamente la proposta, anche perché le motivazioni addotte dall'"amico" di Ken erano più che convincenti.


Ivo Milazzo, prima e quarta di copertina de "I pionieri", numero 53 della prima serie

Sbalorditiva è stata invece la risposta di Berardi: non mi sarei mai aspettato che nella testa sua e di Milazzo fosse balenata l'idea di un progetto di così ampio respiro, al cui paragone, la proposta del lettore impallidisce. Certo, noi, "zoccolo duro" di Ken, di primo acchito ci accontenteremmo di qualsiasi formato editoriale, pur di sapere come andrà a finire la saga di Lungo Fucile. Ma, a pensarci bene, è solo un progetto così "monumentale" che può rendere giustizia all'indimenticato personaggio creato dalla coppia Berardi - Milazzo. O così, o niente. Preferisco restare nel dubbio per sempre, anche se lasciare Ken a marcire in un carcere è molto doloroso....

Ivo Milazzo, prima di copertina de "Prossima fermata: Stockton", numero 51 della prima serie

 La risposta di Berardi però dà una speranza: pur nella manifesta incertezza della realizzazione del progetto, i due autori ci stanno pensando su seriamente e il riferimento alla ricerca di un editore che sarebbe disposto ad un investimento importante, sembra quasi un'esca gettata in modo evidente nel mare della stampa italiana. Perché sbilanciarsi così proprio adesso e pubblicamente in un albo venduto in edivola? Come dice lo stesso Berardi, le richieste di far rivivere Ken gli sono giunte per lettera o di persona costantemente e copiosamente. Perché parlare proprio ora? C'è già qualcosa che bolle in pentola? Mi piacerebbe, e mi rendo conto che sto fantasticando. Ma Lungo Fucile mi manca. Ho perso un amico e un compagno di viaggio, lasciandolo per giunta in una brutta situazione. Spero proprio di rivederlo presto, nel frattempo mi consolo rileggendo la sua vecchia storia.
So long.

Milazzo, Ken e Berardi in un'illustrazione di Milazzo


sabato 18 dicembre 2010

La generazione rubata

"Adesso tutti cercano di darci etichette, ma noi siamo lontani dai partiti, anche dalla sinistra, chiediamo soltanto di poterci costruire vite dignitose, di avere accesso al lavoro, e la risposta del Governo è stata quella di riempirci di botte, mentre tremavo dal freddo, scalza, nel seminterrato buio dove ci avevano rinchiusi, ho pensato che quel luogo assomigliava alla cella del ministero dell'Amore come nel romanzo 1984 di George Orwell..."
Sono le parole di Alice, venitreennne studentessa universitaria fuori sede di Scienze Politiche a Roma. Era stata fermata dalla polizia e trattenuta insieme ad altri 22 manifestanti: quelli del 14 dicembre, il giorno in cui mentre in Parlamento si consumava un altro squallido atto di questa tremenda legislatura, nelle strade romane si stava svolgendo un'imponente manifestazione studentesca (ma non solo) di protesta.
Continua Alice, nell'intervista pubblicata oggi dal quotidiano La Repubblica:
"Rivedo quele scene in continuazione, ero ben stretta nei cordoni di testa del corteo, non ho tirato pietre, nulla, semplicemente avanzavo mentre la polizia caricava, e così mi hanno presa, trascinata via, picchiata con il manganello sulla testa e sulle spalle, buttata in un cellulare con le manette ai polsi"
Si son spese molte parole in questi ultimi giorni, su giornali e tv, per commentare quanto accaduto, spesso proponendo facili generalizzazioni, per liquidare la faccenda come un orribile episodio di violenza, senza così doversi fare troppe domande e darsi risposte scomode. Penso che la testimonianza di Alice sia invece molto semplice e chiara: dei ragazzi manifestano perché si sentono rubare non solo il futuro ma anche il presente. Il presente perché l'università sarà presto colpita dalla riforma Gelmini, il futuro perché nel mondo del lavoro incontreranno precarietà e flessibilità, senza ammortizzatori sociali sufficienti. Qual'è la risposta dello Stato? Nessun ascolto, ma solo botte da orbi!

Christian Mirra: "Quella notte alla Diaz"
"Ci tenevano lì, al gelo, tutti insieme in una cella vuota, senza bere, nè mangiare, nè poter andare al bagno. Chi chiedeva un po' d'acqua o si lamentava per le ferite aperte veniva aggredito, deriso, minacciato. Ci avevano detto: ricordatevi di Bolzaneto, ricordatevi di Genova. Per 14 ore nel centro di identificazione di Tor Cervara abbiamo subito ogni tipo di angheria e di terrorismo psicologico, con la consapevolezza che laggiù, in quella specie di carcere, lontani da tutto e da tutti, ci sarebbe potuta succedere qualunque cosa"
E poi si finisce in questo buco nero, in cui lo Stato mostra la sua anima più scura, dove la legalità viene sospesa e si rimane vittime dell'arbitrio. Ma perché succedono ancora queste cose? Perché alcuni devono cadere ancora in situazioni che evocano le tragedie successe a Genova durante il G8 del 2001?



Come dice Alice, non è una questione nè di destra, nè di sinistra: la richiesta avanzata da questa generazione di essere trattati con dignità è al di sopra di ogni etichetta. Questo mi ha fatto pensare all'altro giorno, quando, durante il buffet di Natale organizzato dall'azienda in cui lavoro, un mio collega quasi mio coetaneo (40 lui, 39 io), commentando quanto è successo a Roma, osservava quanto segue. La nostra generazione, di non molti anni più vecchia, non ha dovuto lottare come questa: siamo stati gli ultimi a laurearci con un'università ancora dignitosa prima della riforma dei 3 anni +2, siamo entrati nel mondo del lavoro quando i contratti precari erano appena stati varati e non si erano quindi ancora diffusi, abbiamo trovato subito un posto di lavoro a tempo indeterminato potendo anche scegliere fra più offerte. Insomma, non abbiamo lottato per niente. Certo, era una generalizzazione anche questa: si riferiva a una ben ristretta fascia di persone, lui è un fisico convertito all'informatica, io un ingegnere: delle figure per cui il lavoro non era dificile da trovare, però ci sono delle verità nelle parole del mio collega, visto che oggi anche un ingegnere neolaureato stenta a trovare un posto decente e, se lo trova, il contratto è sicuramente precario. Quello che mi ha fatto tristezza, in realtà, è che, essendo capitati in un momento in cui tutto era pronto e preparato dalla generazione precedente (lo statuto dei lavoratori è stato varato un anno prima che nascessi), non ci siamo resi conto che non tutto è dovuto e forse non l'abbiamo nemmeno saputo apprezzare. La mia ironica ma triste risposta al collega è stata che ci incazzeremo dopo esserci accorti che le nostre pensioni saranno una miseria, ma allora non avremo la forza di lottare, costretti a convivere col pannolone o sulla sedia a rotelle.
Alice conclude così la sua intervista:
"Mia madre si è spaventata, è naturale, però sa che la nostra protesta è giusta. Ma lo sanno in Parlamento che fatica è poter studiare, mai un cinema, un ristorante, al supermercato cerchiamo i cibi meno costosi, comprare libri è un'impresa. Vogliono schiacciarci? Noi reagiremo, è tutto il movimento che si ribella. E io avevo un nonno partigiano, come potrei smettere di manifestare?"


Queste belle tavole di Milazzo scritte da Berardi sono tratte dall'albo "Sciopero", il numero 58 della prima serie di Ken Parker. Mutatis mutandis, c'è un filo rosso che lega la scena in cui si trova coinvolto Ken e quanto è successo realmente tante altre volte nelle piazze italiane e di mezzo mondo, compresa quella romana del 14 dicembre scorso: si tratta di un filo tessuto con le parole dignità e diritti.

domenica 12 dicembre 2010

Castelli e il Salgari perduto


Fin dalla più tenera età, io avevo una passione bizzarra, incomprensibile, cioè quella di farmi marinaio, di avere un giorno una nave da comandare.....scorrere gli ampi mari in cerca di avventure, di burrasche, di vere emozioni”.


Sono parole che probabilmente non divennero mai realtà per colui che le pronunciò, ovvero Emilio Salgari, visto che l'unico viaggio in mare che egli compì, fu quello vissuto, non si sa se come turista o marinaio, nell'Adriatico lungo le coste dalmate. Eppure dalla penna dell'autore veronese uscirono pagine e pagine di storie avventurose ambientate nei posti più disparati del mondo, dalla Malesia al West, dalla Siberia al Sud Africa. E' proprio in questa terra lontana che Alfredo Castelli fa rivivere nell'Almanacco del Mistero 2011 l'avventura smarrita di Salgari, quel libro perduto dal titolo Il leone del Transvaal, realmente scritto e compensato dall'editore torinese Bemporad ma mai da questi pubblicato, che narra della guerra anglo-boera di fine 800 - inizio 900.

Salgari visto da Paolo Bacilieri
E' un omaggio che l'autore di Martin Mystere tributa al padre della letteratura italiana d'avventura, in occasione del centenario della sua morte che ricorrerà nel 2011. Non è l'unico autore di comics a ricordare il celebre scrittore: anche Paolo Bacilieri, infatti, si sta cimentando in una biografia a fumetti, dal titolo Sweet Salgari, dell'autore di Sandokan, e questo legame fumetto-Salgari non è casuale. Mi spiego meglio: la fantasia e prolificità di Salgari fu tale da oscurare qualsiasi altro autore di genere venuto dopo di lui. Alcuni affermano che il vuoto della letteratura d'avventura in Italia fu colmato proprio dai fumetti, contribuendo da un lato al grande successo delle nuvole parlanti soprattutto fra un pubblico giovane, dall'altro però al confinamento culturale del fumetto ad un unico, seppur affascinante, genere e ad una limitata e ben precisa categoria di lettori.
Per l'occasione Castelli sceneggia una storia plausibile e molto accattivante immaginando una possibile trama del libro perduto, a partire da trascrizioni di pagine inedite aventi come protagonista proprio il Leone del Transvaal, e contenute in documenti originali di Salgari appartenenti ad un esperto francese di letteratura popolare, amico di Castelli stesso. Le pagine salgariane sono autentiche ma potrebbero essere delle brutte copie di brevi scene del romanzo. In ogni caso il Buon Vecchio Zio Alfy le ha sceneggiate fedelmente, costruendoci attorno una storia avvincente con gli stessi personaggi e negli stessi luoghi, in cui si parteggia subito per i coraggiosi partigiani boeri attaccati dai crudeli soldati inglesi.
Il bello dell'idea di Castelli è intrecciare la trama del romanzo con la storia personale e spesso difficile di Salgari, raccontata da un'esperta studiosa torinese a Martin Mystere che, per l'occasione, si fa da parte e interpreta il ruolo di puro spettatore. Così facendo, è come se uno dei tanti eroi di carta, e con lui il suo autore, testimoniassero il rispetto e la gratitudine per l'opera straordinaria e la vita culminata con l'estremo gesto, di un uomo che ha fatto viaggiare i propri lettori, me compreso, in quella terra immaginaria che si chiama Avventura.


mercoledì 8 dicembre 2010

Working class hero

Ci sono degli eventi che si stagliano nella mente di un bambino in maniera indelebile e che ricordi perfettamente anche da adulto. Brevi flash, singole immagini, chiare nella tua testa come se fossero avvenute ieri. Per me lo sono la notizia data al telegiornale dell'omicidio di Aldo Moro, quella dell'agguato in piazza San Pietro a papa Wojtyła. Avevo pochi anni ma mi ricordo bene la disposizione in cucina dei miei genitori, gli oggetti posti sul tavolo, le facce dei giornalisti in tv e quelle dei miei genitori. Un'altra notizia che non si è mai separata dalla mia mente è l'assassinio di John Lennon: avevo 9 anni, ricordo il tg della sera che annuncia la sua morte. Una sera fredda d'inverno, di un giorno passato a casa. Io che chiedo a mio padre chi fosse quell'uomo ammazzato e il motivo di quell'assurdo atto. Mio padre che mi risponde, un po' affranto, che era uno dei più grandi cantanti, che prima era stato il leader dei Beatles, la più importante band della storia della musica, ma che è stato molto di più, uno che cercava di far pensare la gente compiendo magari atti un po' stravaganti. Mi disse poi che il tipo che l'aveva ammazzato, lo aveva fatto solo per mettersi in mostra, per far parlare di sé. Rimasi colpito da quelle parole. Me le son sempre portate dietro. Crescendo ho scoperto la sua musica, le sue idee, e ho capito quanto fosse stato rivoluzionario questo figlio della classe operaia.

domenica 5 dicembre 2010

Mutazione genetica

E' notizia di venerdì 3 dicembre: il confronto tra Fiat e sindacati per stabilire il futuro dello stabilimento di Mirafiori è saltato. “Non ci sono le condizioni per raggiungere un accordo” ha dichiarato il capo delegazione dell'industria torinese. Le condizioni sono l'accettazione da parte dei sindacati della scelta di Fiat di creare una newco, ovvero una nuova compagnia in cui assumere tutti i lavoratori di Mirafiori: questa newco non aderirà a Federmeccanica e quindi non le si applicherà il contratto nazionale dei metalmeccanici.
Il punto centrale è proprio questo: il contratto nazionale. Fiat, così come è successo quest'estate nel suo stabilimento di Pomigliano, non vuole più sottostare alle norme regolanti i rapporti di lavoro contenute nel contratto nazionale, ma vuole stabilirne di proprie, da applicare nello stabilimento torinese.

Penso non sfuggano ai più le conseguenze pericolose di questa strategia. Il contratto nazionale si fonda su due principi: uno di giustizia e uno di solidarietà. Il primo stabilisce che due lavoratori che compiono la stessa mansione devono essere pagati allo stesso modo, a prescindere dall'azienda e dalla città in cui prestano la loro opera. Il secondo, ancor più importante e comunque strettamente legato al primo, garantisce che un lavoratore di una piccola azienda privo di qualsiasi forza contrattuale, possa godere dei benefici del contratto nazionale, ottenuti grazie alle vertenze e alle lotte di quei lavoratori che, appartenendo a aziende più grandi e sindacalizzate, hanno invece una maggiore forza contrattuale. In altre parole, il più debole viene difeso, nell'applicazione dei propri diritti, proprio grazie all'esistenza del contratto nazionale.
Dobbiamo quindi considerare il contratto nazionale come una conquista di civiltà e, come tale, dovrebbe essere ormai iscritto nel DNA di qualsiasi forza politica e sindacale che si richiama ai valori della sinistra, proprio perché fra questi valori compare, ai primi posti, la difesa del più debole.

Spiace osservare invece che così non è per il maggior partito all'opposizione in Italia, ovvero il Partito Democratico. Qualche settimana fa il segretario Pierluigi Bersani fu ospite della trasmissione di Rai3 Vieni via con me per elencare i valori della sinistra, ovvero dell'area politica cui il PD dichiara di appartenere. Ricordo bene uno dei primi punti dell'elenco del segretario: la difesa del più debole. La coerenza fa parole e azioni è però un altro affare. Leggo infatti sul quotidiano La Repubblica di sabato 4 dicembre un'intervista ad uno dei candidati del PD per la carica di futuro leader della coalizione di centro-sinistra, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, che si esprime proprio sulla rottura delle trattative per Mirafiori tra Fiat e sindacati avvenuta il giorno precedente. L'esponente PD afferma:

Chiamparino visto da Mannelli
Sono convinto che ci debba essere da entrambe le parti uno sforzo per riprendere la trattativa e portarla a compimento facendo prevalere il senso di responsabilità. Non conosco i dettagli della proposta, ma non mi scandalizzerebbe né un contratto solo per il settore auto né per singoli stabilimenti a seconda delle caratteristiche. Non si tratta di un tabù.
Faccio notare che, per tenere conto delle caratteristiche dei singoli stabilimenti, esistono i contratti aziendali, che “si costruiscono” sopra il contratto nazionale e che sono ampiamente applicati in tutti gli stabilimenti Fiat. A parte questa personale osservazione, dalle parole di Chiamparino risulta evidente la volontà di non contraddire Sergio Marchionne, considerato da molti nel PD come un moderno innovatore del sistema di organizzazione lavorativa, quasi come un salvatore delle sorti dell'automobile italiana. Accanto ai suoi indiscutibili meriti, va valutata però attentamente la sua azione di questi ultimi mesi. Non ha molto senso fare dei paragoni con i suoi successi americani. Là la Chrysler è stata salvata grazie a forti interventi pubblici e ad accordi sindacali che prevedono anche la riduzione della paga per i giovani assunti a parità di lavoro e la rinuncia al diritto di sciopero. Questi due elementi non possono essere applicati in Italia proprio per l'esistenza del contratto nazionale e perché lo sciopero è un diritto garantito dalla Costituzione italiana. Ecco perché Marchionne vuole aggirare il contratto nazionale: per scriversi a proprio comodo un contratto ad hoc, insieme possibilmente ad un sindacato che guardi solo al particolare stabilimento e non al generale, alla faccia della solidarietà e dell'egualitarismo.
Un partito che si definisce di sinistra, come fa il PD, non può acconsentire ad una tale operazione, pena la sua trasformazione in un organismo geneticamente modificato. Il cammino compiuto dai lavoratori nella storia è stato molto lungo e spesso tragico per raggiungere le conquiste attuali. Prima di buttare a mare tutto quanto, tutta una storia politica lunga più di un secolo, il PD dovrebbe pensarci due volte.


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