martedì 17 luglio 2012

Lo Sconosciuto e Guccini


I buoni consigli di lettura o di ascolto si apprezzano a distanza di anni. Quando te ne stai davanti alla tua libreria e ti accorgi che la fila delle opere di un autore occupano uno spazio considerevole dei tuoi scaffali, allora ringrazi la persona che te l'ha fatto conoscere, e te stesso per aver ascoltato il suo suggerimento. Mi è capitato di recente di soffermarmi su due artisti che sono ben rappresentati nella mia libreria e sui due Paoli che me li hanno fatti scoprire. Del primo Paolo, ho già scritto qui: è lui che mi ha trasmesso la passione per Francesco Guccini quando eravamo ragazzini. All'altro Paolo, invece, devo la scoperta di Magnus e del suo celebre personaggio Lo Sconosciuto. I due Paoli non si conoscono fra loro, sono io che li collego idealmente dopo aver letto sul quotidiano La Repubblica del 10 luglio scorso un'intervista di Luca Raffaelli a Francesco Guccini.

Magnus nel 1973
L'occasione dell'articolo è rappresentata dalla pubblicazione integrale delle avventure di The Unknow per i tipi della Rizzoli-Lizard. Sono rimasto felicemente sorpreso di apprendere che il cantautore di Pavana collaborò in modo del tutto amichevole alla creazione dell'antieroe.
Guccini rivela di essere stato amico di serate di Roberto Raviola nelle osterie bolognesi e confessa che, ascoltata l'idea di Magnus di un nuovo protagonista di avventure a fumetti:

Cominciammo a stabilire i tratti di questo personaggio, come dovevano essere costruite le sue avventure, per esempio il fatto che ogni tanto doveva esserci un flashback di situazioni di guerra che aveva vissuto, cui aveva partecipato come legionario. Lo Sconosciuto è un deracinée, uno sradicato, però ancora in gamba, vivace, anche capace di gesti generosi. Però non un personaggio buono, anzi. Anche un po' stronzo. Ma erano solo i primi abbozzi. Poi Roberto ha continuato per conto suo.

A proposito della mancanza della n finale nel nome The Unknow, aggiune:

Era un'idea sua. Divertente, peraltro. Voleva lasciare questo nome così: un nome sbagliato per un personaggio fuori dagli schemi, appartato e ribelle. Penso che rispecchiasse la personalità dell'autore.”

Francesco Guccini negli anni Settanta

Quando ascolti o leggi un'intervista a Guccini, così come quando assisti ai suoi intermezzi parlati fra una canzone e l'altra durante i suoi concerti, non puoi fare a meno di apprezzare lo stile e la signorilità dell'uomo. E nell'intervista di Luca Raffaelli questa regola non viene meno, allorché alla domanda un po' maliziosa

Ma si è arrabbiato perché non le ha fatto più sapere nulla

il cantautore risponde così:

No, perché era solo un gioco iniziato per caso. Non c'era nessun impegno da parte di nessuno dei due. Anche se avevo già sceneggiato una storia per un disegnatore di Verona, Francesco Rubino, poi avevo lavorato tanto con Bonvi, per cui era chiaro che mi piaceva lavorare nel fumetto. Ma senza mai pensare che diventasse una professione.

La consapevolezza che una parte della paternità della creazione de Lo Sconosciuto va attribuita anche a Francesco Guccini avrà due conseguenze, anzi tre: la prima è che rileggerò le sue avventure contenute in questa nuova edizione con ancora maggiore entusiasmo di quanto feci la prima volta che lessi gli albi prestatimi da Paolo secondo, e quelle successive sugli albi che comprai.
La seconda è che avvicinerò nella mia libreria la fila dei cd di Guccini alle opere di Magnus.
La terza è che farò conoscere Paolo primo e Paolo secondo: vedi mai che vengano fuori altri preziosi consigli di ascolto e di lettura.

mercoledì 11 luglio 2012

11 luglio 1982: tutti a casa di Dino


L'arbitro afferra con le mani il pallone e, con un triplice fischio, dichiara la fine della partita. Ci alziamo tutti, esultanti, usciamo dalle case e, mentre il nostro compaesano solleva la Coppa, ci dirigiamo, seguendo un rito spontaneo, a casa di Anna e Mario. E lì inizia la vera festa.

martedì 10 luglio 2012

La stanza di Paolo



Fra la via Emilia e il West”. Era questo l'album live di Francesco Guccini che il mio amico Paolo mi faceva sempre ascoltare. L'audio era pessimo: quello di una vecchia audiocasseta fatta suonare centinaia di volte, spesso sulle stesse canzoni. Molti pomeriggi piovosi degli anni delle medie e del liceo li passavo così, a casa di Paolo ad ascoltare questo nuovo, per me, cantautore emiliano che parlava di eskimi, strade lunghe e diritte, di vecchie signore dai fianchi un po' molli e piccole città e bastardi posti. Eravamo così presi che anche in spiaggia durante l'estate, con gli amici, lo facevamo suonare ad alto volume: certo non era l'esca più adatta per far accorrere le ragazze, ma in realtà fungeva da buon filtro antropologico.
A Paolo devo anche la conoscenza di un altro mio mito musicale. Le audiocassette che venivano suonate sul suo scalcinato apparecchio erano due. Oltre al cantautore di Pavana, un rocker d'oltreoceano ci faceva perdere la nozione del tempo: un certo Bruce Springsteen. La fonte era ancora un live, entrato ormai nella storia: il leggendario concerto di San Siro del 1985. Fu quindi nella camera di Paolo che cominciai a viaggiare sulla polverosa Highway 9, ad immaginarmi il mondo attorno ad Asbury Park o il fiume dentro cui lui e Mary si tuffavano. Fu sempre in quella stanza che criticammo, più tardi, il distacco del Boss dalla sua E-Street Band per la parentesi, troppo melensa per noi, di "Human Touch".


Allora forse non avremmo pensato di ritrovarci, da adulti, ad ascoltare, questa volta in concerti vissuti in prima persona, le stesse canzoni che da ragazzi cantavamo in quella camera. Da un lato pensi che il tempo non sia mai passato, dall'altro ti rendi conto di come le fantasie, i sentimenti e gli ideali che stavano nascendo allora si sono costruiti anche grazie a quelle note e a quei testi che ti hanno accompagnato per una vita. Musica che, a seconda delle occasioni, è suonata “solo” come sottofondo a qualche serata con gli amici, ti ha fatto da colonna sonora in un lungo viaggio in macchina, ti ha dato spunti di riflessione e di emozione quando l'hai ascoltata assorto sul tuo letto.
E poi arrivano i concerti che, alla fine, non sono altro che un'occasione per ribadire a squarciagola davanti a te stesso che tanto di quello in cui hai creduto è vero, è vivo lì davanti a te, insieme a te, dentro di te.

giovedì 5 luglio 2012

Processo Diaz: "l'ingiustizia è relativamente facile da sopportare, quella che proprio brucia è la giustizia"

La Cassazione ha confermato le condanne dell'appello: ciò significa interdizione alle cariche per i dirigenti della polizia. Niente galera grazie all'indulto. E con la prescrizione altri reati non sono stati puniti. Undici anni per avere giustizia sono troppi. E comunque c'è sempre qualcosa che non va, che non torna. Non è una giustizia piena e completa.
Lo esprime molto bene uno che alla caserma Diaz di Genova c'era, uno che ha subito le torture della polizia e che, sulla sua storia e su quella di tanti altri ragazzi come lui, ci ha fatto sopra un fumetto: "Quella notte alla Diaz" di cui avevo già parlato qui a suo tempo.
Si chiama Christian Mirra e queste sono le sue considerazioni sul suo blog.

domenica 1 luglio 2012

La fine di Mr. Wiggles


Prendi un dolcissimo orsetto di peluche dalle guanciotte rosa, un simbolo dell'infanzia più pura e candida. Ora mettigli in bocca delle oscenità bestiali e fagli compiere delle azioni ributtanti, da codice penale. Cosa ottieni? Mr. Wiggles, ovvero il protagonista di una celebre striscia a fumetti americana, ideata da Neil Swaab, e pubblicata dal 2004 in Italia dalla rivista Internazionale. Per chi non lo ha mai letto, potrebbe sembrare un'operazione che punta sulla volgarità per ottenere un facile successo commerciale. Non è così. Mr. Wiggles e Neil, il suo compagno di casa umano, un giovane insicuro, turbato dal suo difficile rapporto con le donne e dalla sua calvizie, mettono alla berlina in modo cinico e crudele la quotidianità, banale e a volte tragica, del nostro vivere. Il sorriso nasce dal contrasto tra le sembianze ingenue di questo orsacchiotto, disegnato con uno stile molto semplice e naif, e le situazioni assurde e politicamente scorrettissime in cui si viene a trovare. Sesso, violenza, droga, ogni forma di devianza viene affrontata e vissuta dal peluche. Tradizioni, religione, vizi della nostra società sono messi alla berlina in modo spudorato. Senza pudore, appunto, è la parola d'ordine di Mr. Wiggles o, meglio, come suggerisce lui stesso sul sito internet a lui dedicato, "deviancy has never been so funny!".

Ora però dovremo fare a meno della striscia settimanale, in quanto Neil Swaab ha deciso di chiudere, non perché non abbia successo, tutt'altro. La ragione è che non vuole trascinare la storia oltre quello che lui reputa essere il suo capolinea. La lascia così al massimo della sua gloria, e fa bene. Solo che ci mancherà. Perché? Uno dei motivi principali lo espone Giovanni De Mauro, il direttore di Internazionale, nell'editoriale del numero 955 da venerdì in edicola, che ospita anche la striscia finale: "Mr. Wiggles ha saputo ricreare l'ambiente protetto di un gruppo di amici, dove si può scherzare e fare battute (irripetibili davanti ad estranei) su argomenti delicati e drammatici senza correre il rischio di essere fraintesi."
So long Mr. Wiggles, and fuck Winnie the Pooh!

Tavola tratta da Internazionale 955 del 29 giugno 2012


LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...