martedì 7 maggio 2013

Il figlio del softwarista


Infermiere e dottori entravano e uscivano continuamente dalla porta sul reparto maternità alla sua destra. Andrea, sprofondato su una scomoda sedia di plastica, guardava fisso davanti a sé gli ascensori che si aprivano e chiudevano, annunciati da una fastidiosa voce elettronica. Una mosca volò incrociando il suo sguardo perso. Per un momento si distrasse e ne seguì la traiettoria, fino a che l'insetto si posò sulla sedia vuota accanto a lui. Il giornale strappato che teneva in mano atterrò con un tonfo secco sull'indifesa bestiolina. Le persone attorno a lui fecero silenzio e lo guardarono severe. Indifferente, si alzò, raccolse da terra il giornale e l' immobile mosca e li gettò con noncuranza nel cestino colmo di rifiuti. Pazienti, visitatori e personale ospedaliero ripresero a parlare e a muoversi. Andrea fece scivolare le mani sulle guance tergendosi il sudore. Si risedette e, a testa china con le braccia appoggiate alle ginocchia, prese a fissare un punto dello sporco pavimento sotto di sé.
“Oh, eccoti qua! Ciao! Allora, come va?” una voce familiare e una pacca sulla spalla distolsero Andrea dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo fino ad intercettare la faccia rubiconda di suo fratello. Il sorriso di Michele gli diede un po' di calore. Si alzò e lo abbracciò.
“Ma sei tutto sudato! Con il freddo che fa fuori? Da quando sei qua? Come sta Antonella?” disse Michele allontanando da sé Andrea per guardarlo bene negli occhi. Nei secondi che precedettero la risposta, il sorriso del fratello si tramutò in un'espressione preoccupata. Andrea si strinse le guance fra le mani, lisciandosi la barba, vecchia di un paio di giorni.
“Non so come sta. Sono arrivato mezz'ora fa dall'ufficio, ma nessuno qui mi dice niente” furono le parole che Andrea pronunciò meccanicamente. Abbassò lo sguardo a terra mentre Michele ribatté:
“Come non sai niente? E Antonella come ci è arrivata in ospedale?” Michele non si rese conto di aver alzato il tono della voce.
Andrea si strinse ancora la testa fra le mani mentre, con un filo di voce, rispose al fratello.
“Non lo so come ci sia arrivata. Mi ha telefonato uno dell'ospedale dicendo che era qui, al reparto maternità. E che stava per partorire...”.
Michele corrugò la fronte e soffermò lo sguardo sulle spalle cadenti di Andrea, sui pochi capelli spettinati e sul lembo sinistro della camicia fuori dai pantaloni. Lo invecchiavano di almeno dieci anni.
“Ma che cazzo fai? Son tre giorni che Antonella è ferma a letto e tu te ne stai in ufficio fino a mezzanotte?” gridò prendendo il fratello per le spalle.
Andrea si giustificò:
“Avevo un lavoro da finire. Dovevo consegnare una versione software entro stasera. Era importante. E poi domani è il primo novembre, l'ufficio è chiuso. Non potevo..” Michele non lo fece finire. Colpì Andrea con uno schiaffo. Il fratello cadde a terra e, di nuovo, tutta la gente attorno ammutolì. Andrea si rialzò, si strinse le guance fra le mani e tornò a sedere a capo chino. Lo stupore dei presenti durò solo alcuni secondi. Ritornò il consueto vociare e l'andirivieni costante di tutte le sale d'attesa. Michele raggiunse a lunghe falcate la porta del reparto e sparì nel buio corridoio che la seguiva.
Andrea non se ne accorse nemmeno. Quando sollevò la testa in cerca del fratello, vide due dottori che bevevano un caffè. Un'irresistibile voglia lo fece alzare fino alla macchina automatica posta alla sinistra della grande sala. La raggiunse e frugò nelle tasche in cerca di qualche moneta. Un fazzoletto sporco gli cadde a terra insieme al suo tesserino magnetico aziendale. Raccolse gli oggetti e si soffermò a guardare la foto sul badge, ormai logoro. Lo ritraeva giovane, sorridente e con una folta chioma bionda. Ributtò tutto in tasca, spinse la moneta nella fessura e attese il suo caffè. Cerando di ricordare se fosse il nono o il decimo della giornata, si strinse le guance fra le mani che continuavano a sudare. Il caffè era uno schifo, ma Andrea ormai non ci faceva più caso. Da un paio d'anni la caffeina aveva sostituito la nicotina come eccitante nelle lunghe serate passate in ufficio davanti al pc. I panini di plastica erogati dai distributori automatici lenivano i morsi della fame che Andrea pativa fra una compilazione e l'altra del software. L'alito non ne aveva tratto giovamento e, tanto meno, il girovita.
Schiacciò il bicchiere per buttarlo nel cestino e alcune gocce di caffè, intrise di fondi, schizzarono sulla manica della camicia. Andrea non ci badò e si diresse alla sua sedia. Lungo il percorso si accorse che la porta del reparto davanti a sé si spalancò sul volto di Michele. Gli occhi del fratello non tradirono nessuna emozione quando dalla sua bocca uscirono quattro parole.
“È nato il bambino.” Poi, infilò la porta dell'ascensore alla sua destra e sparì.
Andrea si strinse le guance fra le mani. Gli sembrò di avere dei pesi legati alle caviglie quando spostò un piede davanti all'altro in direzione del reparto. Varcò la soglia e chiese ad un'infermiera notizie di sua moglie.
Un braccio teso indicò una direzione in fondo al corridoio. Andrea raggiunse il punto indicato trascinando i piedi. Si girò a destra e vide una stanza separata da un vetro. Al di là un'infermiera di spalle sembrava tenere fra le braccia qualcosa. Andrea si chiuse il volto fra le mani. Si avvicinò e bussò sul vetro.
L'infermiera si girò e il suo sorriso si spense in un attimo. Andrea la guardò, si premette le guance fra le mani sudate e abbassò lo sguardo sul piccolo panno bianco che la donna teneva tra le mani. Da uno spiraglio spuntava una piccola testa con una folta chioma corvina. Il bimbo era nero.
Andrea si portò le mani sulla faccia, questa volta a coprire gli occhi. Si voltò e se ne andò.

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