lunedì 12 dicembre 2016

Hokusai, il pazzo per la pittura

Novant'anni di vita e novanta traslochi: non sono pochi per un uomo giapponese vissuto a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo. Soprattutto se, nel corso di tutti questi decenni, l'uomo in questione si chiama Hokusai, ovvero uno dei pittori giapponesi più influenti e prolifici di sempre. Shotaro Ishinomori ne ha scritto un manga, ormai diversi anni fa, pubblicato in Italia nel 2012 da J-Pop, cercando di restituire la caratteristica più vistosa dell'uomo: l'incontenibile desiderio di apprendere. Mai pago dei propri successi, Hokusai fu sempre pronto a cambiare, ad innovare, a ricominciare da capo e a mettersi a studiare da zero. L'innumerevole sequela di nomi che adottò lungo la sua vita volevano sottolineare proprio questo aspetto: la spinta alla rinascita continua, al proprio rinnovarsi.

Hokusai aggrediva la vita, cercando di assaporarne tutti gli aspetti. Amava le donne, le proprie (ne ebbe diverse) e quelle degli altri. Per lui la donna era una fonte inesauribile di ispirazione, così come la natura. Coglierne l'aspetto intimo e segreto: questo fu la stella polare che lo guidò lungo la realizzazione delle celebri trentasei vedute del monte Fuji, di cui tutti, anche qui in Occidente, conosciamo la grande onda di Kanagawa. Ishinomori alterna capitoli che narrano la vita dell'artista balzando da un'epoca all'altra, muovendosi avanti e indietro nel tempo, amplificando così ancor di più la vitalità dell'uomo. Lo stile classico e senza fronzoli rafforza l'espressività di Hokusai. Ogni tratto del volto è funzionale alla rappresentazione di uno stato d'animo del personaggio. E il tutto viene ottenuto in modo semplice ma efficace, come solo i maestri sanno fare.

sabato 3 dicembre 2016

L'addio alle armi di Adam Wild: quattro domande a Gianfranco Manfredi


Un anno fa Gianfranco Manfredi annunciò la chiusura di Adam Wild, la serie da lui ideata e scritta, ambientata nell'Ottocento nell'Africa subequatoriale. Protagonista un guascone e ribelle esploratore scozzese che lotta contro la schiavitù. Il mercato non ha premiato questo nuovo eroe, gli interessanti personaggi di contorno e l'universo che l'autore ha creato. Un vero peccato, perché l'Avventura a fumetti perde un suo nuovo protagonista dopo appena ventisei numeri con l'albo intitolato Addio alle armi.
Ho contattato Manfredi per porgli quattro domande a riguardo.

Alessandro Olivo (AO): Quale eredità lasciano i 26 albi di Adam Wild in Sergio Bonelli Editore e cosa resta dentro di te di questa esperienza professionale?

Gianfranco Manfredi (GM): Molto studio, sempre utilissimo. Molta esperienza, sempre importante. Molti disegnatori nuovi che non conoscevo. Molta sperimentazione fondamentale per le cose che ho scritto durante e dopo e per quelle che scriverò. 


AO: C'è ancora spazio in Bonelli per nuove esperienze editoriali in cui l'Avventura di stampo classico è protagonista? E, se sì, in quali forme: serie, miniserie, albi one-shot?

GM: Sicuramente. Dubito in direzione di serie lunghe. Penso in direzioni ancora impreviste dai lettori, ma è bene così, perché le anticipazioni rovinano le sorprese e perché spesso si anticipano cose che poi non si realizzano, ergo è meglio parlarne quando saranno in uscita. Di sicuro, nessuno sta fermo. 


AO: Che legame c'è fra il moderno razzismo e lo schiavismo contro cui si è battuto Adam Wild?

GM: Evidente, direi. Razzismo e schiavismo stanno insieme. Perché si teorizza l’inferiorità di altri esseri umani? Per avere un alibi di comodo al loro sfruttamento. 



AO: Pensi che avremo modo di rivedere ancora Adam Wild in qualche albo speciale one-shot o hai deciso di voltare completamente pagina?

GM: Mentre ancora usciva Adam, già preparavo e scrivevo altre cose, perché io non ne faccio mai una soltanto. Ho un bisogno fisico e mentale insopprimibile di varietà espressiva. E siccome lavoro tutti i giorni, scrivo molto, poi le cose escono in tempi diversi, anche se le faccio in parallelo. Quelle che escono dopo non è detto siano state scritte dopo, magari richiedevano tempi di realizzazione più lunghi. Certi progetti richiedono anni e bisogna lavorarci con largo anticipo. Al di là della volontà personale, poi, conta moltissimo quella dei lettori. Uno può anche decidere di ammazzare Sherlock Holmes perché si è stufato, ma se i lettori lo vogliono, resuscita per forza. Viceversa uno può scrivere una trilogia di romanzi, ma se il primo va male, gli altri due non li pubblicherà nessuno. Nella mia vita professionale ho sempre applicato la prima legge degli agenti segreti in missione: lasciarsi sempre aperta una via di fuga. Per dirla invece con il titolo di un romanzo di fantascienza di Robert Sheckley: Opzioni. Lavorare a senso unico è sbagliato. Più opzioni hai davanti e più mantieni sveglio il cervello. In un lavoro creativo è fondamentale. Anche in una singola storia: se ti limiti a eseguire uno schema prefissato senza calcolare opzioni narrative diverse in corsa, ti annoi e annoi il lettore perché non gli dai una storia da leggere di quelle che non si sa come vanno a finire, ma uno schemino prevedibile e scontato. E di questi schemini, sinceramente, non ce n’è bisogno. Ce ne sono fin troppi in circolazione, nei fumetti, nella narrativa letteraria, nel cinema, in televisione e nella musica. Un cuoco deve variare il Menu, altrimenti o è un cuoco di fast food (cioè un non cuoco) oppure è il cuoco del convento che rifila sempre la stessa minestra, magari nutriente, ma alla lunga insopportabile, e la rifila pure sempre agli stessi commensali, finché non gliela tirano addosso. 

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